La storia della Basilica di Santa Lucia
La Basilica di Santa Lucia al Sepolcro sorge sul luogo in cui la Santa fu martirizzata nell'anno 304.
I Siracusani costruirono, infatti, dopo la pace di Costantino una chiesa dedicata alla martire della quale nulla ci è giunto a seguito delle
distruzioni causate dai vari terremoti e dalla dominazione araba. L'attuale chiesa può essere fatta risalire alla restaurazione religiosa del
periodo normanno che ebbe ripercussioni considerevoli nel campo dell' architettura; la ripresa edilizia non solo si affermò con la ricostruzione
di tutti quegli edifici sacri danneggiati dagli arabi, ma anche con nuove costruzioni, meglio rispondenti alle diverse esigenze dei nuovi conquistatori:
il restauro della chiesa e dell'annesso convento, consistente in interventi di riedificazione e di abbellimento, che non alterarono le linee della basilica,
fu prontamente effettuato dal benefattore Gerardo da Lentini.
La pianta odierna rispecchia quindi, con ogni evidenza l'antica: la grande navata centrale, fiancheggiata dalle due minori, lo svolgimento triabsidato, rientrano
nelle forme tipiche dell' architettura normanna. Il più evidente richiamo alla fabbrica normanna proviene dal portale la cui struttura è rimasta immutata. Esso è
costituito da un grande arco a pieno centro inscritto in un timpano ribassato. Agli inizi del XIV sec. su iniziativa di Filippo II d'Aragona, il complesso conventuale
di Santa Lucia venne interessato da un ulteriore intervento di restauro, che si svolse sul piano precedente senza variazioni significative. Il rimaneggiamento
trecentesco lasciò inalterate le linee del prospetto della chiesa, pur introducendo, o rifacendo il rosone centrale, realizzando la torre campanaria, che era
originariamente a due piani, e il tetto a capriate lignee venuto alla luce solo nel 1939, dato che fino a quel momento era stato completamente ricoperto da volte a botte.
Nel 1618, all'arrivo in città dei Padri Francescani riformati, si presentò al Senato l'occasione di disporre in maniera definitiva di una comunità che si occupasse del
sepolcro e che abitasse il convento ormai in disuso. Nuovi interventi di restauro dovettero interessarlo insieme alla chiesa, e allo stesso tempo si intraprese la
costruzione del tempietto ottagonale. Lasciando inalterato lo schema basilicale, l'architetto Giovanni Vermexio, a cui venne affidato l'incarico, introdusse le grandi
arcate a tutto sesto e i pilastri che contengono, probabilmente, al loro interno le antiche colonne normanne.
Allo stesso periodo risalgono inoltre i restauri dell'area presbiterale: le due nicchie ai lati dell'altare, realizzate per snellire la massa dei pilastri, dovevano contenere
all'epoca due statue e l'abside centrale continuò ad essere riservata al dipinto che il Caravaggio realizzò nel 1608, intitolato il Seppellimento di Santa Lucia. Nel primo decennio
del '700 furono intrapresi i lavori di decorazione e stucco all'interno della chiesa, che videro impegnati i maestri Michelangelo Vacirca di Licodia e Luciano Russo.
Nel 1723, su progetto di Pompeo Picherali, iniziò la costruzione del colonnato del portico definita la "galleria avanti le porte del tempio" che cingeva la chiesa nei lati Sud
ed Ovest, coprendo il primo ordine di elementi normanni. I primi lavori di restauro, relativi al nostro secolo, di cui si ha notizia risalgono al 1939; nel Settembre di quell'anno
infatti la Sovrintendenza ai monumenti predispose il consolidamento delle volte a botte lunettata della navata maggiore della chiesa. Durante l'esecuzione dei lavori venne però alla
luce il soffitto ligneo del periodo aragonese, così si provvide a scoprirlo anche perché le travature conservavano ancora importanti tracce di decorazione pittorica.
Il 15 dicembre del 1970 si verificò, inaspettatamente, il completo crollo del porticato che fu poi ricostruito con una tecnica definita anastilosi: i blocchi crollati furono rimessi
insieme e in poco tempo fu riportata la struttura originaria. Nel novembre 1975 si decise di intraprendere il restauro della pavimentazione della chiesa che per l'occasione venne
chiusa al culto. Attualmente la chiesa rappresenta un importante riferimento religioso per l'intera cittadinanza e, il complesso conventuale ad essa annesso, mantiene la funzione
di dimora per una piccola comunità francescana.
L'arrivo dei Frati Minori in Basilica
Il 5 febbraio del 1618, il Senato siracusano si era riunito per discutere intorno alla concessione ed uso della Chiesa della gloriosa Santa Lucia nostra Signora extra moenia.
La custodia e la cura del culto della Basilica e del Sepolcro della Santa martire siracusana rappresentavano da tempo una seria preoccupazione. I luoghi del martirio della Patrona
si trovavano extra moenia, al di fuori, cioè, delle mura cittadine, esposti quindi all'incuria e al degrado. Il problema non poteva essere trascurato, anche perché i siracusani
esigevano che si trovi rimedio alla perpetuazione del servizio divino nella Chiesa della gloriosa Santa Lucia fora di questa Citta nel loco del suo martirio.
Le soluzioni che erano state adottate, quattro Regi Cappellani nel 1507 e il cosiddetto collegio di preti sicolari richiamato nell'atto e formato da dodici cappellani nel 1540,
si erano rivelate deludenti. Si delineò così l'ipotesi dell' affidamento della cura del culto nella Basilica e presso il Sepolcro di S. Lucia ad una comunità di monaci. Varie
sedute del Senato siracusano erano state dedicate a questo argomento, approdando alla decisione di chiedere la disponibilità a fondare una nuova comunità a Siracusa, presso la
tomba della nostra martire, ai monaci benedettini di Catania.
L'Abate di San Nicolò la Rena rispose comunicando la desiderata disponibilità ma, giunse a Siracusa, nel frattempo, una lettera con la quale si portava a conoscenza la profonda
stima ed ammirazione che il Re nutriva per i frati francescani. La devozione nel Re non poteva che tradursi in devozione di senatori e vescovo: fu così che, dopo aver ringraziato
i Benedettini per la cortese disponibilità, il Senato deliberò di concedersi luso di detta Chiesa alli patri della religioni di reformati della osservantia di Santa Maria di Iesu
affinché potesse aumentare il culto divino et far che quella Chiesa della gloriosa Sancta Lucia nostra padrona sia continuamente ben servita da religiosi di tanta santità che ni
resulterà grandissima utilità alli animi delle fideli christiani et honori di questa Città.
Gli imperscrutabili disegni di Dio ribaltarono in tal modo i progetti umani e Padre Francesco donò i suoi figli a S. Lucia.
Una notizia finora inedita che ci fornisce l'atto è quella relativa alla cassa del simulacro argenteo di S. Lucia che risultava essere ancora in fase di realizzazione. Infatti,
a proposito delle rendite da assicurare ai frati e delle elemosine da raccogliere per la costruzione del convento e per l'acquisto della selva (l'attuale area dello stadio), fu
stabilito che venisse escluso il Cilio, cioè, è spiegato, l'elemosina che annuale si raccoglie universalmente per servitio della speditione (completamento) della cascia di argento
dell 'immagine di detta gloriosa Santa Lucia. Veniva però apposta la clausola che essendo complita detta Cassa di detta immagine di detta gloriosa Santa Lucia il detto Cilio ogni
anno s'abbia d'accumulare con li supraditti renditi.
L'atto di concessione si chiude con l'obbligo a carico dei frati di chiamarsi in perpetuum "Padri di Santa Lucia" e viene consegnato alla storia con la firma di fra' Angelo di Noto
che si sottoscrive a nome del molto suo reverendo padre Provinciale per esso e soi successori in detta religione. L'atto fu oggetto ancora di discussioni per i successivi
provvedimenti nei tre consigli che tenne il Senato siracusano il 7 aprile, il 16 aprile e il 5 agosto 1618. La cifra raccolta per la costruzione di un nuovo convento dove ospitare
i Padri di S. Lucia fu pari a 4.000 scudi (che dovrebbero corrispondere a circa € 70.000,00 attuali).
Nella testimonianza poi resa dal Barone Francesco Arezzo della Targia, e registrata da fra' Marco da Piazza, custode del convento nel 1625 circa, l'arrivo dei Padri di S. Lucia fu
segnato da una solenne processione guidata dal Vescovo, Mons. Giovanni Torres, alla quale parteciparono il Capitolo, il Clero, gli Ordini Religiosi tutti con loro Croci e stennardi,
Senato, Nobiltà e molta quantità del popolo di detta Città con festa et allegrezza universale, sono di campane, trombe ed organo.
E' in quella occasione che il Vescovo Giovanni Torres benedisse la Croce che segnava la giurisdizione del convento e che tuttora esiste al lato opposto dell' attuale Piazza, croce
che per i siracusani segna il luogo del martirio di S. Lucia. Circa un secolo dopo, nel 1735, S. Lucia chiamò i frati ad essere testimoni di un segno del suo patrocinio sulla Chiesa
e sulla Città di Siracusa, il cosiddetto prodigioso sudore. Siracusa era soffocata dalla dominazione austriaca e stretta dall'assedio spagnolo. La Basilica e il Sepolcro della Santa
si trovavano praticamente al centro del campo di battaglia, mentre la popolazione, segregata dentro le mura della città e soffrendo ogni genere di patimenti, invocava S. Lucia che
la liberasse da quei tormenti.
Il 6 maggio 1735, nella relazione lasciataci dal gesuita p. La Pila, si racconta che Uno dei Rev.di Padri Osservanti Riformati, che insieme con altri Padri dell 'istess 'Ordine era
rimasto in quel Convento tuttoché troppo esposto al Cannone, e alle Bombe della Fortezza, per non abbandonare la Chiesa, ed il Sepolcro [...] si portò dalla Chiesa per una strada
sotterranea ad osservare quel Tempio ed adorare la statua.
Quel frate era fra' Michelangelo da Siracusa che nella testimonianza resa alla Curia Vescovile nel processo per il riconoscimento del miracolo asserisce che: si accorse che la
fronte della statua grondava in gran copia gocciole di sudore appunto come ceci, a qual spettacolo si pose a piangere non potendo trattenere le lagrime, molto più quando osservò
che tutto il resto de' Marmi era asciutto.
Il Convento, grazie alla sua posizione extra moenia, restò fuori dalle vicende della città e della storia almeno fino al 1866 quando lo Stato unitario soppresse gli ordini religiosi
e confiscò il loro patrimonio. In quel triste momento storico non si ebbe riguardo neanche per S. Lucia.
Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo la città cominciò ad espandersi, finalmente, extra moenia, oltre cioè quelle mura che l'avevano sempre separata dal Sepolcro della sua
Patrona e nel gennaio del 1915 l'Arcivescovo Mons. Luigi Bignami potè restituire la Chiesa e il Sepolcro di S. Lucia ai Frati Minori, a quei Padri di S. Lucia che non avevano
abbandonato la Basilica e la custodia del Sepolcro neanche sotto la minaccia del cannone e delle bombe austriache del 1735. Lo stesso Mons. Bignami diede alla Basilica il carattere
di "chiesa succursale" della Parrocchia S. Paolo Apostolo.
Il 15 giugno 1920 il Demanio dello Stato concesse l'uso di ciò che restava dell'antico convento, andato in gran parte distrutto, e che dopo la confisca era stato utilizzato anche
come stalla per i cavalli dell' esercito. Il convento venne restaurato in parte dalla Provincia di Frati Minori ed in parte ricostruito con i fondi resi disponibili da Papa Pio XI.
Il 24 luglio 1923 l'Arcivescovo Mons. Giacomo Carabelli e fra' Giuseppe Balestrieri nella qualità di Commissario dei Frati Minori del Commissariato del SS.mo Nome di Gesù in Val di
Noto con fra' Benedetto Messina che intervenne quale teste, sottoscrissero la rinnovata convenzione per la cura del culto nella Basilica e nel Sepolcro di S. Lucia.
L'11 aprile 1924, Mons. Giacomo Carabelli eresse la nuova Parrocchia di S. Lucia al Sepolcro affidandone la cura pastorale ai Padri. La nuova parrocchia, come certificato dal
Podestà Leone il 6 maggio 1927, riuniva entro i suoi confini una popolazione di quindicimila abitanti. Iniziò così quella nuova missione dei frati che dura tuttora e da quel momento
la Chiesa di S. Lucia è diventata madre di decine di migliaia di siracusani. Quello dei Padri di S. Lucia è stato e continua ad essere un ministero di pace e di bene, di
evangelizzazione e di santificazione.
E' stato e continua ad essere soprattutto un ministero di riconciliazione e di direzione spirituale che ha lasciato nella memoria collettiva del popolo siracusano una profonda
gratitudine per quelle figure di frati che hanno umanamente e cristianamente formato generazioni di laici, di sacerdoti e di consacrati, nel Terz’Ordine prima e nell’Ordine
Francescano Secolare poi, nell’Apostolato della preghiera e nell’Azione Cattolica e poi, ancora, nel Centro Sportivo Italiano, parroci e semplici frati dei quali è caro il ricordo
a tutti, Padri di S. Lucia che sono stati un’autentica immagine di Cristo Buon Pastore come frà Arcangelo Signorino e frà Diego Giammanco, solo per citarne due.
Il 15 dicembre 2004, essendo Parroco e Custode frà Rufino Di Giorgi, dopo quasi quattro secoli di amorevole e devota custodia del Sepolcro vuoto di S. Lucia, sono proprio i figli
di S. Francesco, quei frati minori che mai hanno cessato di chiamarsi Padri di S. Lucia, ad accogliere il corpo della Santa Martire tolto da quel sepolcro 965 anni prima per esser
portato a Costantinopoli prima e a Venezia poi.
E così i frati hanno accolto, nella Basilica e nel Tempietto del Sepolcro, come in un fraterno abbraccio - nella settimana che va dal 15 al 22 dicembre 2004 – circa 180.000
pellegrini, ma soprattutto hanno accolto, in quell’occasione, tutti i siracusani fratelli di Lucia che si sono riscoperti, tra queste mura, pietre vive di quell’unico tempio
che è il Corpo di Cristo, un tempio qui costruito sulla zolla di terra bagnata dal sangue di Lucia e affidata dalla Divina Provvidenza alle cure amorevoli di Francesco.